Warning: salute mentale, pensieri intrusivi, autolesionismo, omofobia.
***
“Credo che mi piaccia un ragazzo”, mormorò.
Lo psicologo lo guardò confuso per un secondo, prima di rivolgergli un sorriso.
“Ti piace un ragazzo?”
“Non lo so, forse.”
“È uno dei ragazzi che hai incontrato per fare sesso occasionale?”, domandò cautamente.
“No”, scosse la testa e lo innervosì che il suo primo pensiero era stato quello. Con loro riusciva solo a provare disgusto, non si sarebbe mai innamorato di uno sconosciuto con cui aveva fatto sesso in macchina. “Non c’è stato niente. Non credo neanche che lui voglia andare a letto con me.”
In effetti, Bastian non sembrava interessato al sesso, non quanto la maggior parte dei ragazzi che incontrava almeno. Forse il problema era la gente con cui si incontrava.
Non sono loro il problema, è Bastian che non ti trova attraente. Scacciò via il pensiero, scuotendo la testa, e urlando basta! nella propria testa. Juls lo guardò, sicuramente notando il gesto ripetitivo, ma non disse nulla a riguardo.
“Ti va di parlarmi un po’ di lui e di quello che provi? Pensi sia solo attrazione sessuale o anche romantica?”
Fece un grosso respiro prima di rispondere. “All’inizio era attrazione sessuale. Lavora come cameriere, in un pub in cui vado spesso con degli amici. Si chiama Bastian. È carino, ma all’inizio era solo questo… carino e attraente.” Mi sono masturbato pensando a come sarebbe stato morto e ricoperto di sangue. “Poi è… cambiato qualcosa. Ci ho parlato e… forse c’è qualcosa di romantico nell’attrazione che provo adesso. Sicuramente non voglio più solo andarci a letto.”
Improvvisamente, si sentì stanco. Voleva tornare a casa.
“Era molto che non provavi questi sentimenti per qualcuno?”
La domanda lo mise a disagio e si ricompose sulla sedia.
“Mi capita a volte di sentire attrazione romantica per qualcuno, ma… non è mai qualcosa che voglio davvero esplorare. Perché genuinamente non mi interessa una relazione, di solito. Preferisco… una notte e via.”
Era una scelta, solo una scelta. Non era incapace di amare, semplicemente non se la sentiva, non gli interessava. Il sesso era più facile per lui.
Nessuno vuole amarti. Nessuno vuole amarti. Nessuno vuole amarti.
“Pensi ci sia un motivo per cui non sei mai interessato a costruire un rapporto con una persona?”
“Beh… non sono io il terapista qui”, commentò.
L’uomo sorrise, forse trovandolo divertente. Scrisse qualcosa nelle proprie note. Cosa ha scritto? Chiediglielo!
“Potresti rifletterci un attimo, se ti va. O continuare a parlare di quel ragazzo, se preferisci. Non voglio sforzare nessun discorso, ti vedo un po’ a disagio.”
Restò in silenzio per un minuto circa. Non voleva pensarci troppo. Era semplice: amare lo spaventava. Non era facile identificare un solo motivo per cui lo spaventasse. Ce n’erano troppi.
Nessuno vuole amarti!
Scosse la testa, di nuovo. Alzò la mano per tirarsi un pugno, ma finì per spostarsi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, trattenendosi. Si aggiustò la ciocca di capelli altre quattro volte, finché non sentì più il bisogno di tirarsi un pugno e riappoggiò la mano sulle gambe. Sospirò, rifiutandosi di alzare lo sguardo verso lo psicologo. Non voleva vedere i suoi occhi giudicarlo o pieni di compassione.
“Credo di avere un po’ paura dei legami affettivi. Di fare del male all’altra persona. O che faccia del male a me. Ci sono tante cose che posso andare storte, quando ami qualcuno.”
Potrebbe svegliarsi una mattina ubriaco e puntarti una pistola in fronte.
Basta, basta, basta!
“Mi parlasti tempo fa della tua prima, e credo ultima, relazione. Con quel tuo compagno di scuola, giusto?”
“Thomas…”, annuí. “Non era così seria.”
“Ma era stata una brutta esperienza.”
“Per lui più che per me.”
Juls appuntò qualcosa. “Tuo padre si era arrabbiato molto e voleva mandarti da uno psicologo, quando ha scoperto che stavi con un ragazzo. Ti ha rivolto degli insulti omofobi. Ricordo male?”
“Mio padre è stato un coglione, ma non mi interessava cosa lui pensasse di me. Quello che è successo a Thomas… è stato peggio. Mio padre l’ha detto ai suoi genitori e il giorno dopo a scuola era pieno di lividi. Credo lo avessero picchiato, non lo so, non mi ha mai più rivolto la parola.”
“E dopo quello non hai più voluto relazioni?”
Per un attimo, la sua mente si svuotò, all’improvviso. Dovette massaggiarsi la fronte con una mano, per concentrarsi sulla domanda che aveva appena ricevuto.
“Sì”, rispose esitante, “ma non solo per quello che era successo. All’inizio forse, ma poi… ho solo capito che era meglio che non ne avessi.”
“Come mai?”
“Perché sono pazzo!“ rispose, alzando leggermente il tono, quasi come se fosse ovvio il motivo. “Perché mi taglio, perché ho cercato di uccidermi due volte, prendo farmaci, sono pieno di cicatrici. Nessuno vorrebbe una persona così accanto. Piaccio ai miei amici perché non sanno cosa sento nella mia testa e cosa faccio quando sono da solo in casa. In una relazione dovrei mostrarmi in ogni mia fragilità e… mi spaventa.”
Lo psicologo lo osservò preoccupato.
“Ohw” commentò in risposta. “Non sei pazzo, Revie. Lo sai che non è una parola che usiamo qui.”
Instabile? Neurodivergente? Malato? Che cazzo di parola dovrei usare?
Non disse nulla, per paura delle parole che avrebbero potuto uscire dalla sua bocca.
“Ti spaventa anche avvicinarti emotivamente a questo ragazzo?”, domandò poi il terapista, rompendo il silenzio.
“Meno del solito. Bastian è… diverso dagli altri.”
“Diverso? Diverso come?”
“Uhm. Qualche settimana fa…” Ho scoperto che ha cercato di uccidersi. Forse lui può capirmi? Forse lui sa cosa si prova? “Abbiamo parlato, molto sinceramente, di alcune nostre fragilità. E lui non mi ha giudicato. E io non giudicato lui. Eravamo solo due persone che si capiscono.”
Juls annuí, e prese appunti in silenzio. Stai scrivendo che sono pazzo?
“Mi fa piacere che tu abbia incontrato questa persona. E penso che sia coraggioso che tu stia valutando di esplorare un rapporto. Sappiamo bene entrambi che hai molti eventi traumatici alle spalle, legati ad abusi e negligenza da parte di persone di cui ti fidavi, come i tuoi genitori e… il tuo primo terapista. E la separazione e il lutto che hai dovuto affrontare... Sono tutti traumi che hanno impatto sul modo in cui ti relazioni alle persone.”
“Già”, sussurrò.
“La tua mente come reagisce quando sei con lui? Ti senti più tranquillo o provi più ansia, più pensieri, più voci, paranoie?”
“No. Credo di sentirmi abbastanza tranquillo con lui. Per ora.”
“Mi fa molto piacere, Asa.” Fanculo. Non gli fa piacere, non gli interessa nulla. Lo dice solo perché lo paghi per dirtelo. Sei il peggiore paziente che possa avere. Un flash apparve nella sua mente, un pensiero di se stesso che si alzava, prendeva una matita dal porta penne sulla scrivania e pugnalava il proprio terapista. Negli occhi. Ancora e ancora e ancora.
Le macchie di sangue schizzarono sulla scrivania. Vide lo stesso pensiero ripetersi tre volte nella propria testa. Si alzava. La matita negli occhi. Il sangue che schizzava. Che schizzava, che schizzava, che schizzava.
Scosse la testa. Si aggiustò i capelli dietro le orecchie. Scuoti la testa, tirati un pugno.
“Revie?”
“Pensieri”, sospirò. La voce gli uscì tremante, quasi singhiozzante. “Sto avendo dei pensieri adesso. Sento il bisogno molto forte di colpirmi.”
“Vorrei che non lo facessi.”
“Lo so. Lo so.” Lo so, lo so, lo so.
“Vuoi dirmi che tipo di pensieri stai avendo?”
“Molto… violenti.” Soffiò un respiro, stringendo i pugni. “Tra qualche giorno è il compleanno di mia madre”, cambiò argomento improvvisamente. “Lo so che non dovrei pensarci, ma ogni anno finisco sempre per accorgermi della data giorni prima e… ci penso.”
“Penso che questo spieghi perché sei più agitato del solito. Vero?”
Annuí. Nascose il viso dietro una mano. Non piangere, disse a se stesso.
“Perché non passi quella giornata con il ragazzo che ti piace? Magari potrebbe starti vicino. O potresti incontrare tuo zio, se è in città.”
Si mosse piano sulla sedia, respirando piano e profondamente. “Proverò a non passare la giornata da solo. Grazie.”
“Se hai bisogno di supporto, puoi telefonarmi negli orari in cui sono in studio. Se senti di essere in pericolo, o hai paura di farti del male, lo sai che puoi chiamare il numero di emergenza. O tuo zio.”
“E passare qualche giorno in un ospedale psichiatrico?”, sorrise amaramente.
“A volte c’è bisogno di una pausa. Non è una cosa di cui vergognarsi.”
“Non ce ne sarà bisogno, Mr. Laurent.”
“Lo spero, Asa. Come ho detto prima, sono un po’ preoccupato per te. Ma non voglio allarmarmi troppo, è una settimana delicata per te perché coincide con un evento traumatico del tuo passato. Sono sicuro che tra qualche giorno starai meglio. Sei un ragazzo intelligente e molto consapevole della propria situazione e dei propri sintomi.” Lo sono?
Lo psicologo controllo l’orario sul proprio orologio da polso. “La nostra seduta finisce tra qualche minuto. Vuoi aggiungere qualcosa o ti lascio il nostro prossimo appuntamento?”
Alzò lo sguardo, sbattendo le palpebre un paio di volte. “Posso leggere gli appunti, per favore?”
“No, non puoi.” Fece una pausa, osservando se Revie aveva bisogno di dire altro, ma il ragazzo spostò lo sguardo verso la finestra, guardando gli alberi. “Venerdì prossimo, stessa ora?”
“Va bene”, rispose. Prese il bigliettino con scritto data e orario dalla mano nel terapista e lo nascose nella tasca del proprio cappotto.
Lo psicologo lo accompagnò alla porta, aprendola per lui.
“Alla prossima, Revie.”
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