TW. salute mentale, malattie mentali, autolesionismo, pensieri di suicidio
“Perché hai cercato di ucciderti quella notte?”
Bastian lo guardò per diversi secondi. Non arrabbiato o scioccato o altro, lo guardò e basta. Si aspettava di non ricevere risposta e che Bastian camminasse via, senza rivolgergli mai più parola. Invece, rimase lì, sulla soglia della porta macchiata di firme e numeri di telefono.
“Sono successe delle cose… che non ho affrontato molto bene. Non sono riuscito a chiedere aiuto, anzi… credo di aver allontanato gli altri. Ma sono rimasto da solo ad affrontare… troppo.”
“E cosa-“
“Buonanotte, Asa”, lo interruppe con gentilezza e senza guardarsi indietro, si avviò verso l’uscita del bagno.
“Buonanotte, Bastian”, sussurrò, consapevole che ormai avesse già lasciato la stanza.
Rimase seduto sulla tavoletta del gabinetto per qualche minuto, con la voglia di fumare, a fissare il pavimento, come se lì potesse leggere le risposte ai mille quesiti che lo perseguitavano.
“Ho paura che io ci riproverò presto”, sussurrò, a se stesso.
***
Lo studio del dottor Juls Laurent era caldo e confortante, con diverse opere d’arte appese alle pareti. Alcune erano riconoscibili, altre anonime e rozze, forse dipinte da altri pazienti. Revie avrebbe voluto dipingere qualcosa per il signor Laurent, ma aveva il terrore che non gli sarebbe piaciuto. Ricevere una disapprovazione da parte del proprio terapista lo avrebbe distrutto.
“Hai voglia di spiegarmi perché oggi è un quattro?”, domandò Juls dopo un paio di minuti di silenzio, mentre Revie era impegnato a fissare le foglie della pianta su uno degli scaffali.
“Mi aumenterete la dose dei farmaci?”, cambiò argomento il ragazzo, come se non avesse sentito la domanda.
L’uomo alzò lo sguardo dall’agenda su cui prendeva appunti.
“Se io e la psichiatra lo riterremo necessario. Altrimenti, no”, rispose, con voce calma, ma seria.
“Non voglio una dose più alta”, disse, quasi pregandolo con il tono della voce.
“Affronterò questa richiesta con la dottoressa e ti assicuro che non ti aumenteremo i farmaci se non sarà strettamente necessario. Ora, vorrei rispondessi alla mia domanda, senza paura. Lo sai che puoi essere onesto qui.”
L’ultima volta che sono stato completamente onesto, ho passato un mese in psichiatria.
“Non… sta andando molto bene. I pensieri e le voci e… il farmi male. Non sto peggiorando. Ma non vedo grandi miglioramenti.”
“Ti sei fatto male in questi giorni?”, domandò il terapista, mentre prendeva appunti.
“Sì. Qualche giorno fa, e due giorni fa e ieri. Erano tre settimane che non mi tagliavo, prima di farmi male la prima volta questa settimana. E poi è successo di nuovo.” Ridacchiò appena, ma smise subito, per paura di sembrare inappropriato.
“Penso che tre settimane sia un ottimo traguardo, Asa. Da qualche mese non duravi più di una settimana. Ti ricordi?” Gli offrì un piccolo sorriso di conforto.
“Sì, mi ricordo, ma… potevo fare di più”, replicò, evitando il suo sguardo.
“Le ricadute possono capitare.” Lo dice solo per non ferirti, ma pensa che tu sia una delusione. ”Vuoi raccontarmi cos’è successo qualche giorno fa?”
“Io…” Un flash improvviso gli apparve con violenza nella mente: un’immagine di se stesso nudo, che praticava sesso orale su un uomo. Scosse la testa, in risposta. “Ho bisogno di un attimo.”
Il signor Laurent annuí, senza insistere. “Certo.”
“Ho incontrato un uomo”, continuò poi. “Abbiamo fatto sesso. E quando sono tornato a casa, i pensieri sono ricominciati subito. E ho sentito la voce di Ruth chiamarmi. Ma lei non c’era.”
“Mi dispiace, dev’essere stato spiacevole. Sembra che la voce di tua madre stia tornando ad essere un’allucinazione piuttosto frequente.”
“Già. La sento al telefono, in casa, quando cammino per strada.” Un altro flash, un’immagine violenta e piena di sangue, lo scosse improvvisamente e senza controllarsi, si tirò un pugno in fronte. Il ciocco dell’impatto riempié la stanza.
“Asa…”
“Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace”, sussurrò, disperato. “La prego non mi mandi fuori, mi è partito. Mi dispiace.”
Juls fece una pausa, inspirando.
“Non ti mando fuori, ma vorrei che tu mi facessi presente quando hai dei pensieri intrusivi. E sai anche bene che vorrei non ti colpissi durante le sedute.”
“Sto avendo dei pensieri intrusivi”, ammise, annuendo. “Non mi colpirò di nuovo.”
“Ho notato che stavi avendo dei pensieri. Hai scosso la testa già tre volte da quando sei entrato, aspettavo che me lo dicessi di tua volontà.” Revie si scusò a bassa voce.
“Hai votato la giornata di oggi come un, uhm, quattro su dieci, per questo motivo? Stai avendo molti pensieri oggi?”
“Già. Pensieri. Molto forti”, rispose.
“Hai avuto anche delle allucinazioni?”
“Non oggi. Neanche ieri. Due giorni fa è stata l’ultima volta.”
“Vuoi raccontarmi che tipo di allucinazione è stata?”
“La mia immagine allo specchio era… distorta” spiegò, nervosamente. “Era come se mi fissasse, anche se io cercavo di guardare altrove, ma il mio riflesso non corrispondeva. E continuavo a sentire dei passi per casa, ma… non c’era nessuno. E ho sentito delle voci, a un certo punto. Fuori dalla mia porta d’ingresso. Mi chiedevano di aprire, ma io aprivo e non c’era nessuno. Ho controllato che la porta fosse chiusa a chiave almeno una decina di volte prima di andare a dormire, dopo che ho smesso di sentire.”
Quando finí di raccontare, si accorse di stare tremando. Si sentiva sul punto di piangere.
“Sembra che tu stia vivendo un periodo molto pesante, Asa. Sono un po’ preoccupato. Perché non vuoi che ti aumentiamo i farmaci, se ti senti così male?”
Sorrise, quasi come se la risposta fosse ovvia. “Mi fanno sentire confuso e assonnato, per diverse ore. Mi sento come se fossi… non pienamente presente, a volte. Come offuscato.”
“Ricordi com’è stato, l’ultima volta che hai provato a smettere di prenderli?”
“Ho cercato di uccidermi.”
Juls annuí, e abbassò lo sguardo per qualche secondo per annotare qualche parola.
“Prenderò nota degli effetti collaterali che hai citato e considereremo la possibilità di provare altri farmaci. Non è sempre prevedibile come il nostro corpo e la nostra mente reagisce agli psicofarmaci. Lo capisci?”
“Posso sapere cosa state scrivendo?”, domandò Revie, ancora tremante.
Il terapista smise di scrivere, improvvisamente. “C’è un motivo per cui me lo chiedi?”
“I pensieri… mi fanno credere che ci sia scritto qualcosa di molto brutto”, rispose, con sincerità.
“Non ti mostrerò i miei appunti, Asa. Prendo solo appunti sulle nostre sedute, lo sai. Mi appunto quello che dici. Ho tanti pazienti e una memoria limitata. Gli appunti mi aiutano a ricordare dettagli utili.”
“Ho davvero bisogno di leggere cosa c’è scritto”, insistette.
“Io non darò potere ai tuoi pensieri. Perché più li segui, più loro continueranno a presentarsi, sempre più convinti e insistenti. Vuoi che io ti dia rassicurazione su dei pensieri che sono senza logica. Non te ne darò, ti ho spiegato in diverse occasioni il motivo.”
Revie chiuse gli occhi, annuendo. Stringendo forte le mani, si trattenne dal tirarsi un altro pugno.
Ti sta nascondendo qualcosa. Ti odia. Sei il peggior paziente che potesse mai capitargli.
“Vorresti parlare di qualcosa? Magari tua madre?”
Non vede l’ora che ti ammazzi una volta per tutte. Dovresti impiccarti, quando torni a casa. O ucciderti nel bagno fuori dallo studio. Così Juls saprà che è stata colpa sua.
“Ti lascio un minuto di silenzio”, aggiunse poi, appoggiando la penna sulla scrivania e appoggiando la schiena alla sedia.
Revie non aspettò a lungo, prima di ricominciare a parlare.
“Credo che mi piaccia un ragazzo”, mormorò.
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