Per essere stata la prima serata dopo il rientro, sarebbe potuta andare peggio. Bastian si era aspettato che le persone sapessero cosa aveva fatto, ma non di sentirsi così osservato e giudicato da ogni singolo cliente presente nel pub.
Era sicuro che in parte fosse solo una sua impressione, ma questo non lo faceva sentire meglio.
“Mi dispiace, ma dovevi aspettartelo che molti ti guardassero”, gli aveva detto una collega alla fine del turno. “Parlavano tutti di te fino a ieri.”
Avrebbe voluto rispondere che in realtà l’unica cosa che si aspettava dopo aver tentato il suicidio era di morire, ma si era imposto di trattenersi.
Per dare giustizia al “sarebbe potuta andare peggio”, la serata effettivamente andò peggio. Perse l’autobus per tornare a casa di un paio di minuti e rimase a piedi sotto alla pioggia e al vento. A Rainhill pioveva quasi tutti i giorni, eppure puntualmente quando Bastian usciva per andare a lavoro non c’era brutto tempo, così dimenticava l’ombrello a casa ogni singola volta. Non sapeva se a dargli più fastidio erano le gocce d’acqua gelida o il vento che gli mandava i ciuffi di capelli negli occhi.
Si incamminò verso il proprio appartamento, dall’altra parte del paesino. Si toccò la tasca con la mano, scoprendo piacevolmente non solo di aver passato una brutta sera, perso l’autobus e dimenticato l’ombrello, ma di aver anche lasciato a casa le sigarette.
Fanculo.
Una voce risuonò in mezzo al tip tap della pioggia: “Hai bisogno di un passaggio?”
Un ragazzo vestito di scuro lo osservava da sotto un ombrello rosso, a un paio di metri da lui, sotto ad un lampione. Gli sorrise, spostandosi i capelli ricci e neri dietro un orecchio con la mano libera.
“Ci conosciamo?” domandò Bastian perplesso, voltandosi del tutto verso di lui.
“Abbiamo parlato poco tempo fa, al pub. Bastian, giusto?”
“Ah, certo, scusami. Non ti avevo riconosciuto.”
Non era vero, non lo ricordava. Gli sembrava poco educato dirlo ad alta voce. Era abbastanza realistico che se lo fosse dimenticato dopotutto; gli capitavano spesso conversazioni occasionali con dei clienti, come gli capitava spesso di avere dei vuoti di memoria durante le giornate.
Non poteva sapere che in realtà non si fossero mai scambiati una sola parola e che il ragazzo gli aveva mentito.
“Posso darti un passaggio, quindi?”
“Oh, no, non posso accettare” sorrise Bastian imbarazzato, scuotendo la testa.
“Certo che puoi” lo rassicurò sorridendo e si avvicinò, offrendogli di venire sotto l’ombrello. “Vieni al riparo o ti ammalerai. Dove abiti?”
“Vicino alla biblioteca… quella zona” rispose Bastian, spostandosi al fianco del ragazzo vestito di nero, che dovette alzare l’ombrello per via della sua altezza. Notò solo in quel momento i due piercing argentati sotto il labbro inferiore e le guance piene di lentiggini. Aveva un aspetto famigliare, ma non riusciva a collegarlo a nessuna persona con cui ricordasse di aver già parlato.
“Non è molto vicino da raggiungere a piedi, lascia che ti accompagni io, lo farei con piacere.”
“È molto gentile da parte tua, grazie. Io… non ricordo il tuo nome, perdonami.”
“Asa Raven, ma puoi chiamarmi Revie.”
Normalmente non avrebbe accettato volentieri un passaggio, ma la sola idea di camminare per almeno quindici minuti sotto la pioggia dopo ore di lavoro al pub lo sfiniva. In quei giorni pesanti, ricevere un po’ di gentilezza era confortante.
L’auto di Asa era parcheggiata in fondo al viale e aveva l’aria di essere molto costosa. L’interno era pulito e curato, come se fosse stata messa in ordine il giorno stesso. Revie mise in moto la macchina.
“Frequenti l’università per caso?” domandò Bastian poco dopo, per riempire il silenzio. “Mi sembra di averti visto anche lì, è possibile?”
“Sì. Arti visive, primo anno. Potremmo esserci incrociati in qualche corridoio.”
“Può essere… Scusa se sono ripetitivo, ma grazie per il passaggio, davvero.”
“Di nulla” rispose Revie, restando concentrato sulla strada. “Non voglio metterti a disagio, ma so che non è il migliore dei periodi per te e a volte ricevere un gesto di gentilezza fa piacere.”
Bastian si pietrificò, elaborando lentamente quelle parole.
“Wow. È girata molto la voce” commentò poi, irritato da quelle parole. Sospirò, appoggiandosi le mani sulla ginocchia. “Sai una cosa… non voglio la tua pietà. Potresti accostare e lasciarmi qui per favore?”
Revie non si fermò, restando in silenzio per qualche secondo, come se stesse ripensando alle parole di Bastian. Era sul punto di chiedergli una seconda volta di accostare, quando Revie prese parola:
“So cosa significa quando tutti ti fissano con compassione, ma nessuno ha il coraggio di chiederti perchè hai cercato di suicidarti.”
Non si sarebbe mai aspettato una risposta così schietta, pronunciata con un tono così calmo. Rimase incantato a guardare il volto di Revie di profilo, rivolto verso la strada, illuminato dalle luci in movimento delle altre macchine.
“Mi dispiace,” Furono le uniche parole che riuscì a rivolgergli dopo quasi mezzo minuto di silenzio.
“Per cosa?” Revie aveva la voce più ferma e tranquilla che si sarebbe mai aspettato di sentire durante una conversazione del genere. C’era qualcosa di confortante nei suoi modi.
“Che tu capisca” rispose, “e di averti risposto male.”
“Vuoi ancora che mi accosti?”
“No” disse in un soffio di voce. Non era sicuro del perché, ma voleva restare lì.
“Dev’essere stata una serata pesante...” Dannatamente.
“A casa passerà tutto” sospirò, sorridendo. Non lo credeva davvero, ma non voleva passare per quello che avrebbe potuto riprovarci. Le persone volevano sentirsi dire frasi positive, che stava bene, che si stava riprendendo. Nessuno voleva sentirlo parlare di quanto ancora facesse fatica ad accettare di svegliarsi vivo ogni mattina.
“Vivi da solo?”
“Sì.”
“Anch’io vivo da solo. E casa mia è il posto in cui resto da solo con me stesso più a lungo, e io sono la persona peggiore che possa farmi compagnia. Specialmente nelle giornate pesanti.”
Avrebbe voluto che quelle parole non fossero così terribilmente riconoscibili.
“Ho un cagnolino. Quindi tecnicamente non sono mai solo con me stesso.” Fu difficile non ripensare a come aveva chiuso Paulie fuori dal bagno quella sera.
Revie sorrise.
“Scusami, non avrei dovuto tirare fuori l’argomento. Spero di non averti fatto star male, Bastian.”
“No, non ti preoccupare. Mi dispiace solo che tu sappia cosa significa, ma dall’altro lato, sai...”
“È bello sentirsi capiti” completò Revie.
“Sì. Sì, lo è.”
Nei minuti seguenti non ne parlarono più. Bastian indicò a Revie che strade prendere fino al parcheggio vicino a casa sua, e riempirono i vuoti tra un’indicazione e l’altra con qualche domanda occasionale per fare conversazione. Da quanto lavori lì?
Come sta andando la sessione?
Anche tu hai un cane?
Non aveva scoperto molto su Revie, aveva avuto troppo poco tempo. Era curioso, non avrebbe potuto negarlo. Revie era la persona più interessante con cui aveva avuto una conversazione negli ultimi mesi.
“Grazie mille per il passaggio, Asa.” Si slacciò la cintura, aprendo la portiera.
“Aspetta”, lo fermò Revie, appoggiandogli una mano sul braccio, “ti presto il mio ombrello.”
“Oh, non ti preoccupare, faccio una corsa fino al portone. Per un po’ di acqua non succede niente.”
“Se lo prendi in prestito, avrai una scusa per parlarmi di nuovo” gli sorrise, per poi allungarsi verso i sedili sul retro. Afferrò l’ombrello rosso, porgendoglielo. “Sempre che ti interessi.”
Bastian fissò l’ombrello per qualche secondo, prima di tornare a guardare Revie. Lo prese dalla sua mano senza dire nulla.
“Buona serata allora” gli disse Revie, osservandolo mentre scendeva e apriva l’ombrello.
“Anche a te.”
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