“Non c’è niente di male nel cercare aiuto psicologico.”
Bastian non poteva credere che la conversazione fosse sfociata così presto in quello, a soli due giorni dal suo risveglio in ospedale. L’ultima volta che era andato in terapia, non gli era stato d’aiuto. Non avrebbe speso altri soldi per sentirsi dire che stava male, come se non lo sapesse già.
“Lo so” rispose, con voce piatta, mentre svuotava la spesa dalla borsa di tela e riponeva il cibo in frigo. Verdura, carne, formaggio, un paio di budini al cioccolato che sembravano gli stessi che gli erano stati dati in ospedale dopo una terribile zuppa insapore.
Bagie era stato carino a fargli la spesa e dargli un passaggio a casa dopo la sua dimissione dal ricovero. Gli aveva anche portato un enorme pacco di biscotti al cioccolato fatti in casa dalla sua ex moglie, Moirin. Moirin era stata la prima persona ad avergli fatto visita in ospedale, la prima di tre. L’altro fu Bagie, poche ore dopo. Poi Sarah, la sua ex fidanzata, con cui era ancora in buoni rapporti.
“Sono sicuro che la tua università abbia degli sportelli gratuiti, o potrei aiutarti a trovare un terapista privato, che dici?”
Sospirò. Non voleva avere quella dannata conversazione.
“Con che soldi pagherei la terapia?” domandò. A malapena riusciva a pagarsi l’affitto e le bollette.
“A quello posso pensarci io.”
No, non esiste.
“Mi hai già aiutato con l’affitto i primi mesi. Ancora non ho finito di ridarti quelli, non posso permettermi altri debiti. Quindi grazie, davvero, ma non posso accettare.”
“Non vederli come debiti. Puoi metterci tutto il tempo di cui avrai bisogno per ridarmelo. Lo sai che a me i soldi non mancano.”
Chiuse il frigo sbattendolo nervosamente.
“Non posso dipendere da te! Va bene?”
Gli era uscito un tono di voce più alto del previsto e Bagie ora sembrava preoccupato. Odiava quello sguardo preoccupato che le persone gli rivolgevano ogni volta che aveva uno scatto di rabbia.
“Bastian, molti ragazzi alla tua età dipendono ancora dai genitori. È normale avere bisogno di supporto.”
“Ma tu non sei mio padre. E non ho bisogno di aiuto.”
Era un peccato che Bagie non fosse suo padre, in realtà. Non ci voleva molto ad essere un padre migliore del suo, che lo aveva cacciato di casa quando aveva solo sedici anni.
Aveva conosciuto Bagie quando ancora viveva in casa-famiglia, era un donatore e un visitatore regolare. Bagie era quella tipica persona a cui piaceva aiutare, sempre pronta a dare un sostegno concreto a chi ne aveva bisogno.
Ma Bastian ormai non aveva più bisogno, né se lo meritava.
Aveva un lavoro, che Bagie lo aveva aiutato a trovare; studiava all’università, grazie a Bagie che lo aveva aiutato a pagare l’iscrizione; aveva lasciato la casa-famiglia e finalmente viveva da solo, nell’appartamento che Bagie gli aveva trovato.
Aveva tutto, grazie a Bagie non aveva più la vita di prima.
Ironico come tutto fosse così perfetto e lui stesse ancora così male.
Si mise a sedere su una sedia, come se stare in piedi fosse troppo stancante. Bagie si appoggiò con una mano allo schienale della sedia accanto, schiarendosi la voce.
“Lo so che non ti piace sentirtelo dire, ma hai bisogno di aiuto. E voglio che tu sappia che sia io che Moirin ci siamo, se hai bisogno di qualunque cosa. Non voglio che succeda di nuovo, capisci?”
“Non succederà più, davvero” sussurrò, rivolgendogli un sorriso. Gli fece male dover pronunciare quelle parole, per l’ennesima volta in due giorni. Era stanco che le persone ne dubitassero. Bagie lo guardò come se si fosse reso conto di essere stato indelicato.
“Non so perché l’ho fatto” aggiunse. “Andava tutto così bene, non ho niente di cui lamentarmi. Ho una casa, un lavoro...”
“Non importa quante cose tu abbia fuori” lo interruppe, “se dentro c’è un vuoto che deve guarire. Non devi spiegare niente, Bastian, nessuno è arrabbiato con te. Siamo solo preoccupati, perché ci teniamo a te.”
Ci fu silenzio per qualche secondo, perché Bastian non sapeva più cosa dire, né voleva proseguire quel discorso. Bagie diede un’occhiata veloce al calendario.
“Aspetta qualche giorno prima di tornare a lavoro, goditi il fine settimana. Va bene?”
“Non posso, non voglio rischiare di essere licenziato. E non cercare di farmi cambiare idea. Non ci riuscirai.”
Sentii Bagie sospirare. Alzò le mani, arrendendosi. Si sentì Paulie entrare in cucina, con dei piccoli tap tap tap sul pavimento. Guardo prima Bagie, poi Bastian, poi Bagie ancora, come per dire “Che si dice qui?”.
Bagie lasciò andare una risata e lo indicò.
“Quel topo-cane ti ha salvato la vita. Se non avesse abbaiato come un dannato per mezz’ora facendo incazzare i tuoi vicini forse non saresti qui, lo sai?”
Bastian annuì. Sarah glielo aveva raccontato. Era metà merito suo se era ancora vivo. Aveva lei le chiavi dell’appartamento di Bastian, per le emergenze. Accarezzò Paulie e lo prese in braccio, appoggiandolo sulla proprie gambe.
“Grazie per esserti preso cura di Paulie negli ultimi due giorni. E mi ha veramente fatto piacere la tua visita, ma...”
“Vuoi che resti a pranzo? Non mi sto auto-invitando, ma se può farti piacere...”
“In realtà, preferirei stare un po’ da solo...” disse, annuendo.
“Ho un po’ paura a lasciarti da solo, sai? Potresti mandarmi un messaggio ogni tanto, solo per… farmi sapere che stai bene? Ti va? Scrivi qualcosa anche a Moirin. Ci tiene.”
“Ti manderò la foto del pranzo che cucinerò con la spesa che hai fatto per me. E ringrazierò Moirin per i biscotti.”
“Bravo ragazzo” replicò energicamente, dandogli un paio di pacche sulle spalle. “Ci sentiamo dopo, allora. Non dimenticarti, eh.”
Bastian gli sorrise e ascoltò i suoi passi lasciare la casa, la porta chiudersi. Il silenzio che Bagie si lasciò dietro lo rese malinconico. Guardò Paulie e Paulie guardò lui, dal basso. Pensare a quanto a lungo Paulie lo avrebbe aspettato, prima di realizzare che non sarebbe mai tornato, lo distruggeva.
“Non succederà mai più” disse, accompagnando le parole con una carezzina. “In caso lo stessi dubitando anche tu.”
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