All’inizio a Revie non era importato molto della notizia del tentato suicidio di uno studente della sua stessa università. Era l’una di notte passata quando erano iniziati ad arrivargli dei messaggi, mentre stava studiando nella propria camera da letto.
Aveva chiuso i libri, abbandonandoli a lato della scrivania e aveva passato il tempo a scorrere tra le chat dei gruppi universitari, con un’espressione impassibile sul volto. L’empatia delle persone verso uno sconosciuto schizzava alle stelle alle brutte notizie e Revie questo non lo capiva. Lui non era sconvolto o triste o preoccupato; se avesse dovuto essere sincero, era più curioso di sapere come il ragazzo avesse provato ad uccidersi e sperava che qualcuno lo menzionasse. Ma erano tutti troppo impegnati a parlare del “perchè”, del “chi lo conosce” e del “qualcuno contatti la sua famiglia”, il tutto accompagnato da qualche esclamazione di stupore e dispiacere di chi non sapeva cosa dire e qualche “grazie a Dio sta bene”.
Una persona che ha tentato il suicidio non sta bene, Veronica.
Il fatto che fosse sopravvissuto era forse l’unica vera tragedia della vicenda, secondo Revie.
Sorrise, trattenendo una risata. Quando era toccato a lui risvegliarsi in ospedale e accorgersi di essere ancora vivo era scoppiato a piangere per quanto patetico si era sentito. Non sono neanche in grado di uccidermi, aveva pensato. L’avrebbe anche detto ad alta voce, ma con sua zia di fianco al letto di ospedale che piangeva non gli era sembrato il caso. Aveva solo detto “mi dispiace”.
Sarah B. Sono la vicina di casa di Bastian, adesso sta bene. È in ospedale e si riprenderà. Per favore rispettate la sua privacy.
Fu quel messaggio ad attirare finalmente la sua attenzione. Per un attimo l’intera chat si congelò, come se tutte le persone online stessero fissando quel singolo nuovo messaggio arrivato a l’1:25.
La chat riprese vita dopo qualche secondo, ma Sarah B. non scrisse altro.
Revie realizzò gradualmente. Bastian. Bastian... Il barista.
Era già stato detto il suo nome prima? Gli era sfuggito? Non ci aveva badato? Qualunque fosse il motivo, capii solo in quel momento che si trattasse di lui. E solo in quel momento, iniziò a importargli davvero del fatto che un ragazzo avesse provato ad uccidersi. Perchè quel ragazzo lo aveva visto poche ore prima, al pub e aveva sfidato se stesso a portarselo a letto.
Ci fu un attimo di silenzio nella sua mente, come se improvvisamente si fosse svuotata e stesse riorganizzando i pensieri. Posò il telefono sulla scrivania, silenziandolo. Non poteva più dire di essere indifferente. Non avrebbe saputo ben descrivere come si sentiva – forse turbato?
Ci aveva visto bene nello sguardo di Bastian quella sera. Tristezza, angoscia. Il dolore nei suoi occhi era più reale di quanto avrebbe mai immaginato. Si sentii come se avesse assistito al suo tentativo di suicido di persona e fosse rimasto a guardare. Non poteva dire di sentirsi in colpa, ma il pensiero c’era.
Aveva pensato anche di chiedergli di uscire quella sera. Perchè non l’aveva fatto?
Avrebbe fatto una differenza, se fosse andato al bancone a parlarci?
Tu cosa faresti se volessi ucciderti e qualcuno ti approcciasse per flirtare?, chiese a se stesso. Non aveva una risposta sicura. Dipende dalla persona, pensò. La risposta più scontata di sempre.
Era stupido pensarci. Se Bastian voleva uccidersi, l’avrebbe fatto lo stesso. Non sarebbe stato un suo “ciao, come va?” a cambiare qualcosa.
“Oh, Bastian” sussurrò, fissando il telefono appoggiato sulla scrivania. “Siamo molto più simili di quanto credessi.”
Ignorò tutti i messaggi e aprì la galleria delle foto, scorrendole finché non trovò ciò che cercava: una foto di Bastian che aveva scattato di nascosto qualche giorno prima. Adorava i suoi capelli lunghi e biondi.
“Cazzo”, sorrise. Si sbottonò i pantaloni, lasciandoli scivolare giù. “Lo so che non dovrei. Ma almeno non ti sei ammazzato, o sarebbe molto peggio.”
E cominciò a toccarsi, pensando a Bastian ricoperto del proprio sangue.
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